Culto del Fuoco



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Gli Adusti
Il culto del Fuoco giunse nelle Terre Spezzate con gli Adusti, che in modo estremamente primitivo veneravano il Fuoco/Sole attraverso riti e cerimonie per lo più svolte durante la notte. Il fuoco era visto come manifestazione di un elemento superiore alla contingenza: la luce nasce dal fuoco, fuoco è l'astro solare, fuoco sono le stelle e i lampi della tempesta. Il fuoco era dunque principio “divino”, che sapeva benedire e punire gli uomini. Gli Adusti facevano iniziare il giorno allo scendere delle tenebre, mentre il termine del giorno era il tramonto; la prima parte della giornata era buio e caos, in cui l’uomo doveva resistere al gelo ed ai pericoli, quindi giungeva il Sole ad infiammare la terra, portando con la luce anche l’ordine.
Enormi falò e pire venivano innalzati durante le fredde e pericolose notti del deserto per ingraziarsi l’impietoso Fuoco, e alle fiamme danzanti venivano offerti sacrifici e rituali carichi di movimento e gestualità, perché gli sciamani si lasciavano possedere dal fuoco e cercavano di seguirne la guizzante natura.
Fu durante queste cerimonie che il Popolo della Sabbia, già stabilitosi nei territori meridionali dell’attuale Meridia, scoprì l’esistenza della magia e la possibilità di evocarla attraverso particolari gesti. Le manifestazioni magiche furono accolte con un rafforzamento delle convinzioni mistiche, e vennero interpretate come comunione con il Fuoco, Signore del Deserto, che aveva benedetto i propri figli con il più potente e grande dei doni. Il Fuoco divenne oggetto di divinazione, gli sciamani presero via via sempre maggiore coscienza del potere magico e dei modi in cui evocarlo a proprio comando, il popolo individuò nei Maghi le proprie naturali guide. Fu così che gli antichi Meridi, senza strappi, si piegarono socialmente ai benedetti dal Fuoco, che divennero una casta dominante e chiusa all’esterno.
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Un cerchio di fuoco rituale |
L'Impero del Fuoco
Quando le tribù di Uomini della Sabbia vennero unificate e assoggettate dal grande mago conquistatore
Adonide Crisostomo, questi si proclamò padrone delle terre per volere divino, già che con il potere del fuoco aveva assoggettato gli altri uomini. Diede inizio ad una faraonica monarchia nota come l’Impero del Sole, e coniò per sé e per i propri discendenti un titolo che racchiudesse il senso sia del potere mistico che di quello temporale: Eliarca.
L’Impero del Fuoco era diviso in tre province: la periferica Venalia, la fertile ma pericolosa Meridia e la sfarzosa Salamandra. I governatori delle province erano chiamati Arconti ed agivano per mandato dell’Eliarca, ma erano comunque assoggettati ai Piromanti, che tramite la divinazione delle fiamme sapevano interpretare il volere del Fuoco e farsi tramite del suo enorme potere distruttivo.
Le Caste
In effetti la maggior parte degli aspetti simbolici del Fuoco, in questa epoca, erano sintetizzati nella dottrina della separazione delle caste: il Demo, i Piromanti e l’Eliarca erano rispettivamente considerati i fuochi del mondo terreno, intermedio e celeste, identificati con il Fuoco comune, il Fulmine e il Sole.
Il popolo era il fuoco che avvampa in un attimo, che viene attizzato dal vento e spento dall’acqua, debole e mutevole, e che gli uomini possono e devono controllare, e accendere per venerare le forme del divino. I Piromanti erano il fulmine, il fuoco che giunge dal cielo, ad illuminare le tenebre ma anche a punire con repentina ed inarrestabile fiamma. L’Eliarca era il Sole, principio di immutabilità ed eternità, e come tale è il fuoco del giudizio e della purificazione, che bruciando ciò che è impuro eleva l’uomo dalla mortalità all’immortalità.
Gli Uomini del Mare
Al sopraggiungere degli Uomini del Mare l’Impero del Fuoco cadde, e con esso anche la potenza del culto instaurato dall’Eliarca. I nordici conquistatori temevano la potenza magica dei Piromanti, che vennero a lungo perseguitati e che, per secoli, sopravvissero in segreto studiando e praticando la magia in ristretti circoli di maestri ed allievi. Lo studio delle arti magiche sopravvisse, ma il misticismo si trasformò in filosofia, e ad ogni maestro corrispose una diversa concezione del fuoco quale principio creatore e regolatore del mondo circostante. Fu sempre in questi anni che ad Ambra, antichissima città dell’Impero del Fuoco in cui maghi e studiosi discendenti dell’Eliarca erano sopravvissuti, il fuoco divenne principio fondante di una nuova disciplina. Il divieto di praticare la magia si sublimò in un’altra arte nata dal fuoco, che poteva mutare gli elementi naturali svegliando in essi potenzialità nascoste e mistiche: l’alchimia.